SCOPO CONOSCITIVO DELL’INDAGINE
La violenza familiare rappresenta un fenomeno ampio e complesso, difficile da analizzare. La sua conoscenza, tuttavia, è essenziale per lo sviluppo a livello istituzionale, delle politiche e dei servizi necessari per affrontarli.
La GESEF, nell’ambito della sua conoscenza, esperienza e potenzialità operative, ha realizzato un’indagine su questo tema che si pone come obiettivo prioritario la conoscenza del fenomeno della violenza familiare subita dagli uomini-padri ad opera delle loro partners, in tutte le sue diverse forme, in termini di prevalenza ed incidenza, di caratteristiche di coloro che ne sono coinvolti e delle conseguenze per la vittima.
Questa prima parte dell’indagine si propone di rilevare e descrivere:
• l’estensione e le caratteristiche del fenomeno della violenza intrafamiliare di cui sono vittime gli uomini-padri;
• la dinamica e le peculiarità dei diversi episodi di violenza all’interno della coppia separanda/separata;
• il periodo in cui si è verificata la violenza, ovvero in costanza di matrimonio o convivenza, e successivamente alla separazione/divorzio;
• le caratteristiche delle vittime, la loro reazione all’episodio di violenza e le conseguenze fisiche, psicologiche ed economiche delle violenze che hanno subito;
• i contesti in cui queste violenze si verificano;
• l’incidenza del sommerso, ovvero i motivi per cui esse vengono denunciate o meno;
• i possibili fattori di rischio e quelli protettivi a livello individuale e sociale;
• i costi sociali della violenza, riconducibili direttamente e indirettamente alla vittima e alla società, misurati attraverso alcune ricadute negative come l’impossibilità della vittima di condurre le normali attività quotidiane, l’utilizzo dei servizi sociali e sanitari, o i costi sostenuti per far fronte ai danni conseguenti.
TECNICA DI INDAGINE
L’indagine è stata condotta elaborando le dichiarazioni degli uomini-padri separandi/separati che si sono rivolti allo sportello di ascolto della GESEF, in concomitanza con quanto rilevato dalla documentazione giudiziaria ed amministrativa – laddove disponibile – presentata dai medesimi.
L’indagine è stata svolta su 26.800 uomini-padri, nel periodo dicembre 1998 dicembre 2006.
La fascia di età del campione in esame è compresa tra 24-59 anni. Il maggior numero di episodi di violenza di più grave intensità subito singolarmente dall’uomo-padre si rileva nella fascia di età 35-47.
Gli operatori – volontari dell’associazione – addetti all’ascolto sono stati 12.
La tematica particolarmente delicata ha richiesto di porre specifica attenzione a tutti gli elementi delle dichiarazioni, ampliando quanto più possibile la comprensione attraverso l’intervista libera.
Tale modalità di intervista ha richiesto una fase di progettazione per definire e meglio comprendere i contenuti oggetto di analisi: ovvero l’emersione delle diverse tipologie di violenza – fisica, psicologica, sessuale, economica – oltreché i fattori di rischio, le conseguenze, il contesto socio-culturale e gli stereotipi della violenza. Ed ovviare ad una possibile sottostima del fenomeno, che può essere determinata dalla difficoltà delle vittime a riconoscersi come tali o dal disagio a proporsi come tali, e dal non aver pertanto maturato una consapevolezza riguardo alle violenze subite.
Le interviste sono state svolte con il supporto psicologico e legale di professionisti in materia.
Gli episodi di violenza rilevati dalle dichiarazioni degli intervistati sono stati suddivisi in tipologie così come percepite dai medesimi, e classificati in base agli indicatori elencati nelle tabelle.
Le categorie Convivenza e Post Separazione evidenziate nelle tabelle indicano la fase di vita in cui il soggetto ha subito episodi di violenza: rispettivamente in costanza di matrimonio/convivenza anche durante la crisi di coppia, e dopo l’avvio del procedimento legale di separazione/affido dei figli minori.
La categoria Abitazione è riferita all’abitazione coniugale o di convivenza, mentre Altrove indica qualunque altro luogo anche aperto (strada, giardino, parco, spiaggia), inclusa la nuova abitazione del soggetto dopo la separazione.
Alcune tabelle non riportano il totale percentuale poiché i dati non sono aggregabili: i singoli soggetti sono stati vittime di molteplici episodi di violenza in molteplici circostanze, in contesti diversi, alla presenza dei figli oppure alla presenza dei figli e terze persone contemporaneamente.
1. La Violenza Fisica
Gli episodi di lieve e media gravità non vengono percepiti dai soggetti come reato: pertanto non vengono mai denunciati, e solo raramente rivelati nelle relazioni amicali o con altri familiari. Prevale un sentimento di vergogna ed umiliazione, nonché il dubbio di non essere creduti.
Solo il 5% degli episodi di maggiore gravità – percepiti dal soggetto come pericolo per la propria vita e/o per i figli – viene denunciato alla autorità pubblica, in particolare nella fase di crisi della coppia o dopo la separazione. Tali denunce vengono spesso ritirate per arginare la conflittualità della controparte, oppure finiscono nel calderone del giudizio separativo.
In soli due casi si registra l’applicazione – da parte della magistratura – della vigente normativa che prevede l’allontanamento del familiare violento dall’abitazione, a carico della donna-madre. E solo tre casi contemplano la condanna penale – peraltro molto blanda – per l’autrice della violenza.
La maggior parte dei soggetti si limita a difendersi fisicamente. Chi ha reagito in maniera incontrollata è stato successivamente incriminato per violenze, passando così dallo status di vittima a quello di carnefice.
La consapevolezza dei vigenti stereotipi di genere – in base ai quali la violenza coniugale si declina solo al maschile – è molto forte, ed ha acuito la sensibilità nell’intercettare la strategia provocatoria della partner per sfruttare al meglio tali stereotipi, soprattutto nella fase di crisi pre-separazione. Ma al tempo stesso ha esasperato la percezione di trovarsi in una trappola, dove qualunque azione diventa un boomerang.
Il 30% dei soggetti ha lasciato l’abitazione, soprattutto nei casi di violenza assistita da parte dei figli. Il che – pur costituendo una forma di difesa e tutela sia per il soggetto vittima che per i figli – si è poi trasformato in elemento accusatorio nel corso del giudizio separativo.
2. La Violenza psicologica
In regime di convivenza la maggior parte dei soggetti percepisce tale violenza come lesiva della dignità personale e del ruolo familiare.
Dopo la separazione, la violenza subita è identificata principalmente come stato di perenne tensione vendicativa/distruttiva, ovvero strumento teso a corrodere la propria relazione con i figli essendo il soggetto deprivato di controllo e gestione autonoma della relazione medesima. I figli sono quasi sempre affidati a, o collocati presso, la madre.
Il Mobbing giudiziario è una strategia di bombardamento per procura – legittimato poiché non riconosciuto come tale – che utilizza impunemente l’apparato giudiziario-amministrativo. I soggetti vittimizzati in tal modo sviluppano stati di profonda angoscia, arrivando a non aprire più la cassetta per la posta o a non rispondere al campanello nel timore di vedersi recapitare ulteriori ingiunzioni.
3. La violenza economica
In costanza di convivenza, oltre un terzo dei casi registra una resistenza da parte della partenr lavoratrice retribuita alla condivisione equa delle spese inerenti l’abitazione ed il mantenimento dei figli, che incidono perlopiù sul reddito del soggetto vittima.
Dopo la separazione, la percezione di questa tipologia di violenza aumenta fino al 79% dei casi
Massima la percentuale di uomini-padri che percepisce come violenza maggiormente lesiva il ricatto posto in essere dalla partner circa lo scambio figli/soldi. Ovvero – sia in fase di separazione, quindi la coppia ancora convivente, e/o successivamente – la concessione al proseguo della relazione padre/figli proporzionata all’entità del contributo economico e/o a benefici patrimoniali.
La consapevolezza che trattasi di un reato è molto forte, ma al contempo neutralizzata dal riscontro che tale aspetto è peculiare alla normale prassi di negoziazione nel contesto separativo, stante l’affidamento/collocamento dei minori alla madre dato per scontato dalla medesima e dagli operatori dell’apparato socio-legal-giudiziario.
L’assegnazione ed il godimento legale a titolo gratuito della casa coniugale alla partner, affidataria/collocataria dei figli minori, viene percepita come una sottrazione da parte del 59% dei soggetti, sia uniproprietari che proprietari in comunione. I soggetti infatti, in capo a molti dei quali grava o ha gravato il pagamento del mutuo, devono farsi carico delle spese per altra sistemazione, e non possono accedere all’edilizia residenziale pubblica in quanto già proprietari.
Il dato non è compreso nella contabilizzazione delle violenze, in quanto trattasi di evento determinato dalla prassi giudiziaria, non ascrivibile ufficialmente alla categoria di violenza familiare. In questo, come in altri aspetti, la violenza sta nel sistema che regola gli eventi separativi, ottimamente sfruttato da chi ne beneficia.
Nel 65% dei casi in esame, il carico delle spese legali – anche conseguenti il mobbing giudiziario – ha totalmente prosciugato le risorse del soggetto vittima, costringendolo ad indebitarsi presso parenti e/o terzi.
Il tenore di vita, che automaticamente si deteriora dopo la separazione, si situa così ai livelli di mera sopravvivenza e talvolta neppure quella. Il 37% del campione registra uno scivolamento sotto il livello di povertà, considerati i parametri in uso presso le istituzioni pubbliche per la misurazione del welfare nazionale.
Nel caso di lavoratori autonomi si rileva altresì il mancato guadagno, conseguente il tempo sottratto all’attività ed impegnato alla difesa legale, alle conseguenze delle denunce strumentali e del mobbing giudiziario.
Trattasi pertanto di una consistente porzione di risorse che, anziché essere impiegate per il benessere dei soggetti coinvolti – sia la vittima sia la partner abusante – e per il futuro dei loro figli, confluisce parassitariamente nel sistema legale-burocratico.
I danni che ne derivano per la futura generazione e per l’intera società sono oggetto di studio in altra indagine.
4. La Violenza sessuale
In questa tipologia vengono inclusi quei processi od episodi che, pur non attenendo a specifiche violazioni fisiche, producono effetti devastanti sulla personalità e nell’ambito psico-fisico dell’uomo vittima, equiparabili e talora superiori a quelli dello stupro subito dalla donna.
Il radicamento socio-culturale di stereotipi di genere, che stigmatizzano esclusivamente l’uomo come soggetto violento ed abusante e dall’altra parte come refrattario all’assunzione di responsabilità, non concede spazi di equa valutazione da parte degli operatori socio-giudiziari chiamati ad intervenire.
Non è culturalmente riconosciuta la vittimizzazione del soggetto maschile per tali tipologie di violenza, e pertanto non esiste alcun sistema di prevenzione, sanzione dell’abusante, tutela e sostegno della vittima, sia sul piano legislativo-giudiziario che sanitario-psicologico.
La denuncia strumentale di molestia o abuso sessuale sui figli riguarda il 33% degli uomini-padri.
E’ percepita dagli stessi come l’atto di violenza più crudele, che stravolge in profondità l’equilibrio psico-affettivo del soggetto denunciato, la sua autostima e le relazioni con l’esterno.
Nella metà dei soggetti ha determinato – anche dilazionata nel tempo – una inibizione temporanea o difficoltà di varia misura della regolare attività sessuale.
Oltre i due terzi dei soggetti bersaglio di tale violenza hanno espresso riluttanza – graduata fino al rifiuto – circa la probabilità di procreare altri figli con una nuova partner.
Nel 99,6% dei casi in esame la denuncia è stata archiviata dal magistrato poiché il fatto non sussiste, ed ascritta alla conflittualità di coppia; oppure il soggetto è stato assolto nel corso del giudizio per non aver commesso il fatto. Nel rimanente 0,4% si è ancora in attesa di giudizio definitivo.
In tutte le circostanze l’iter processuale è devastante. Oltre a tempi lunghissimi, comporta l’intervento di operatori cui il soggetto già vittimizzato deve sottoporsi in un contesto di colpevolezza data per scontata, e quindi di umiliazione e perdita totale della propria dignità di uomo e di padre. La relazione con i figli, ovviamente sospesa, ne risulta poi inquinata e deteriorata. Questa si evidenzia quale motivazione principale – sostenuta da sentimenti vendicativi – che spinge la parte denunciante a porre in essere tale azione.
Le conseguenze sui figli, analizzate in altra sede, non sono parte di questa indagine.
In nessun caso la parte denunciante ha subito conseguenze di carattere penale. Solo in tre casi sono state applicate blande sanzioni pecuniarie a conclusione di interminabili procedimenti per calunnia che i soggetti danneggiati avevano avviato con difficoltà, stante gli atteggiamenti ostativi riscontrati in ambito giudiziario.
La disamina della documentazione giudiziaria ed amministrativa, combinata a verifiche di altra natura, rileva che nel 75% dei casi in esame di denuncia strumentale, la parte denunciante era già supportata od assistita legalmente da operatori direttamente od indirettamente collegati ai centri anti-violenza territoriali e/o ad associazioni professionali di cui è noto l’orientamento ideologico. Identica situazione si rileva per le denunce strumentali di molestia o violenza sessuale sulla partner.
5. Distribuzione geografica ed attività lavorativa del campione in esame
La ripartizione in tre aree del territorio nazionale corrisponde alla modalità standard, così come la ripartizione per attività lavorativa che a sua volta costituisce indice di livello socio-culturale
La quota più consistente di uomini-padri oggetto d’indagine risiede – o ha risieduto – nella Capitale e nella Regione Lazio, stante la sede dell’Associazione GESEF nella città di Roma che offre maggiore facilità di contatto. Per tale motivo i relativi dati sono disaggregati.
La quota minore riguarda il Sud-Isole. Il che riflette la perdurante differenza rispetto ad altre aree in ordine alle dinamiche relazionali interne ed esterne alla famiglia, all’incidenza delle separazioni/divorzi, alla cultura che permea i ruoli e gli atteggiamenti. Una cultura che inibisce la esternalizzazione della violenza subita, di per sé ritenuta lesiva della dignità personale in misura pari, se non maggiore, della violenza medesima.
Non si rileva alcuna correlazione tra le differenze culturali e la tipologia degli episodi di violenza subiti.
Indipendentemente dalla provenienza geografica, dall’attività lavorativa svolta, dal contesto socio-culturale di vita, dal livello di istruzione, i soggetti dell’indagine sono coinvolti in maniera quasi uniforme nelle varie tipologie di violenza.
Gli scarti più evidenti si registrano nell’ambito della violenza economica, riferibili a episodi ricattatori in situazioni reddituali maggiormente appetibili.
Elvio Ficarra
Osservatorio Famiglie Separate – GESEF