SIRMIONE — «Sono nato sfortunato», dicono in molti. Quelli che possono dirlo a ragione, prove e statistiche alla mano, sono uno su dieci. Sono pure autorizzati a lamentarsi di una sorte non troppo propizia sin dal loro esordio in questo mondo altri due su dieci. Ad alcuni dei rimanenti sette può darsi che le cose non siano andate al meglio, ma non per i numerosissimi handicap di partenza (familiari, psicologici, sociali, economici) contemplati nel questionario che il dottor Michel Soulé dell’Istituto di puericultura di Parigi ha adottato per seguire seimila bambini dai tre mesi agli otto anni di età. Scopo dell’indagine è calcolare quanti già alla nascita sono «a rischio», intendendo il termine nel senso più complesso come è stato spiegato al convegno «Famiglia in difficoltà e tutela del bambino» che si conclude oggi.
A questo convegno le statistiche negative piovono da tutte le parti, visto che si analizzano appunto le famiglie problematiche, e il mestiere di bambino (e di genitore, di conseguenza)” finisce per apparire più che difficile, impossibile. Se anche nell’infanzia si schiva il rischio di entrare nella statistica sul padre violentatore, sul genitore drogato o detenuto, sulla madre impazzita o adolescente, è però ormai probabile finire dentro un’altra percentuale sotto indagine: quella dei figli di separati.
Le cifre questa volta indicano trentamila minori all’anno affidati dai tribunali a questo o quel genitore, ma essendo numerosissime le separazioni di fatto è evidente che si tratta di molti di più. Chiariamo subito, per buona pace di tanti, che nessuno ha detto che se padre e madre si dividono i figli sono rovinati per sempre. Tuto, o molto, sta in come ci si divide. Prima di parlarne, però cerchiamo ancora il supporto delle cifre. Anche questa indagine è francese e afferma che, con il divorzio, i figli vengono a trovarsi per il 38 per cento a rischio (di incuria, di abbandono, di rifiuto da parte di un genitore), per il 40 «divisi», interiormente (e sviluppano conflittualità verso i genitori) mentre il 22 per cento, dopo qualche problema iniziale, risultano illesi. Forse sono i figli di quelli che sono appunto riusciti a separarsi «bene», o forse no data l’imprevedibilità della vita e della psiche, comunque l’indagine non lo specifica. Quel che manca da noi, spiegano ancora è una cultura della separazione, una conoscenza diffusa cioè di quel che comporta realmente. Dice Adriana Scaramuzzino, giudice a Bologna: «Tanti pensano di aver risolto tutti i loro problemi separandosi. E non sanno che molti problemi a volte cominciano proprio allora: la solitudine, che fare se il bambino reclama il genitore assente, come gestire il rapporto a distanza con l’ex partner’.
Aggiunge Alfredo Carlo Moro, giudice di Cassazione, dopo una lunga permanenza al Tribunale dei minori a Roma: «Bisogna aiutare i genitori che si dividono a superare il loro lutto. Perché di lutto si tratta». L’ideale, sembra di capire, è che i separandi risolvano I loro conflitti con l’appoggio di psicologi o terapeuti della coppia, e poi si presentino, separati ma sereni, al tribunale. Se invece tutto questo non accade e il giudice, non sapendo a che genitore votarsi, pensasse ai nonni, come qualche magistrato ha già fatto, sappia che anche questa scappatoia è inagibile.
«I nonni no», afferma categorica la psicoanalista Alessandra Lancellotti, consulente del tribunale di Genova. «Perché, impietositi dai nonni, vecchi e perciò bisognosi, i nipoti non si faranno mai una vita propria. In più i nonni svalutano la figura dei genitori che finiranno per apparire come dei bambini agli occhi dei figli. Questo li confonde e li fa sentire onnipotenti, diventano perciò straffotenti e viziati. No, i nonni no».
Chi resta se proprio le cose in famiglia vanno male? Si può sperare nel «difensore civico» dei bambini, figura che col nome di ufficiò di pubblica tutela è operante da pochi mesi in tre Usl umbre e dovrebbe esordire prossimamente In Lombardia. D personaggio parte però dotato di cosi scarsi poteri reali, mentre gli occorrerebbero quelli di Superman, che forse tra non molto si attaccherà anche lui al «telefono azzurro» per lanciare un disperato «S.O.S.infanzia».

Serena Zoli

Corriere della Sera, 1989

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