Quando nasce pesa solo 2 chili e 2 etti: come un piccolo pollo, che per di più ha difficoltà respiratorie a causa dell’amnio ingerito. La famiglia le da il bel nome di Pamela in onore del personaggio televisivo. La madre, 30 anni, inizia a tenere il fiato corto per lei. A dirsi, non sono stata capace di fare meglio. Per di più Cesare aspettava il maschio: non avevano voluto i genitori sapere dall’ecografia di che sesso era. Ed eccoci qui in ospedale in mezzo a incubi, incubatrici, sospiri ed incertezze. Giovanna, la madre. Smagriva a vista d’occhio, non si aspettava che dopo il parto ci fossero problemi. Il marito cercava di darle quelle certezze che le mancavano di base. Giovanna era figlia unica di madre apprensiva e di padre proiettivo. Quando finalmente la bimba arriva a casa (dopo tre settimane e mezzo) si tira il fiato e si annuncia il giorno del battesimo. Comunque Pamela è sottopeso e le preoccupazioni di sua madre crescono. Per cui alla prima febbre, Giovanna comincia a pensare che è una bambina gracile e fragile. La copre come un fagotto, non la porta fuori casa, le da da mangiare in continuazione. Motivo per cui Pamela inizia anche a vomitare. Insomma la bambina ne ha sempre una! La domenica non si esce più: la notte poi si trasforma in inferno. Non soffocherà mica? Non le andrà storto qualcosa? E se non la sentissimo? Cesare invano tenta di sedare tanta ansia dicendo alla madre di stare tranquilla, ma ormai Giovanna vede in Pamela una bambina diversa e diverso è il suo modo di educarla. Intanto si licenzia (che errore!) dal posto di lavoro per stare vicino a sua figlia. Poi la relega inconsciamente in una prigione fatta di premure e ambasce in cui la figlia diventa come ostaggio, un ostaggio d’amore. Nonna e madre sono allineate sulla stessa lunghezza d’onda e non c’è verso di dividerle. Cesare si isola a questo punto in una zona d’ombra della casa in cui quando parla non viene ascoltato, ma se mai guardato con compassione, quasi con ostilità, come a dire, “lascia fare a noi che ce ne intendiamo”. Invece di dividere le due donne, non parla più, si passivizza. A questo punto s’inizia un’escalation di apprensioni in un circuito che si autoalimenta. In realtà basterebbe far capire alla madre che la sua scarsa autostima le provoca il timore che tutto vada storto e in questo clima ansiogeno e depressivo alta è la tensione e molte le febbri dei bambini, che somatizzano questo clima emotivo. Atre anni inoltre, non la si porta all’asilo perché potrebbe prendere le malattie. E dunque Pamela diventa chiusa e suscettibile di carattere, gioca poco e sta sempre e solo con madre e nonna in una “perfetta” simbiosi patologica. Cesare sempre più solo e inascoltato, inizia a essere scontroso e aggressivo. Motivo di più da parte di Giovanna per attaccarsi alla bambina. La madre vive sua figlia come una felice isola emotiva. Che la isola sempre di più dal marito e la aggancia sempre di più alla figlia. Il rapporto amoroso tra i coniugi, un tempo così trasparente, è ormai appannato. E Pamela che doveva unirli è diventata inavvertitamente il motivo della loro disunione. La bambina, che era stata tanto attesa, ora ha innescato una spirale di aspettative negative. Rischia di compromettere per sempre l’equilibrio di coppia. Se il cono d’ombra gettato da queste aspettative atte a escludere la figura paterna non si riduce, il rischio per Pamela di diventare una vittima, ma anche una tiranna, abituata a dettare legge dal trono della sua fragilità. Inoltre, il rischio psicologico di ogni bambino è quello di essere fagocitato in una sindrome mai abbastanza pubblicizzata, da una diagnosi mancata che è quella detta simbiosi patologica di madre nonna e figlia.
Se le madri non vengono aiutate al momento opportuno a tirarsi fuori da forme di catastrofismo ed eccessiva preoccupazione (dietro cui si annida la loro depressione mai curata), il rischio è di strozzare inconsciamente la figlia in una morsa fatta di paure e di aspettative negative. Le stesse che hanno reso queste madri prima vittime e poi tiranne.
Il ruolo inconscio delle aspettative negative purtroppo non viene mai né abbastanza studiato né controllato. Questo vale sia per i figli sia per i… governi! Chissà che la psicologia non diventi un giorno la strada maestra da imboccare per prima, se si vogliono sani i primi (i figli) che i secondi (i governi).

La Repubblica, 20 luglio 1994

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