Renata, 7 anni non vuole più andare a scuola perché ha una relazione “incestuosa” col patrigno, che la tocca e ne abusa quando la mamma va a lavorare. Roberto, 10 anni, ha come padre il Comune di Genova e come madre una sua assistente sociale, perché i suoi genitori da quattro anni litigano per il suo “possesso” e dunque il Tribunale dei minori ha sancito che in mancanza di un accordo parentale subentra lui alla patri e matria potestà … e questo succede nelle maggiori e più importanti metropoli italiane…
E poi c’è questa storia di straordinaria follia. A Pesaro Rita, 40 anni, zoppa da quando, a 14 anni, un carro le si è rovesciato addosso, due figli e marito conosce un giorno Roberto, il ragazzo che esce con sua figlia. Roberto sembra timido e impacciato, ha gli occhi di un cerbiatto ferito e fa pena a guardarlo come nel film di Hitckok la sua esilità e la sua elegante fragilità attivano sensi materni di protezione ed amore. Rita, quando torna a casa alle quattro del pomeriggio se lo trova lì nella penombra, le gambe composte ed accavallate, tutto il contrario dei suoi figli, venuti su in maniera inelegante e supponente.
Roberto parla poco, ha gli occhi abbassati, tiene le mani sul tavolo, grandi bellissime mani, da intellettuale. Roberto infatti frequenta il quinto anno di composizione al Conservatorio. Ed è lì che conosce Anna, sua figlia, la figlia di Rita: Anna infatti si era decisa dopo anni di esercitarsi al pianoforte. Aveva una bella voce, era di grande prestanza fisica, non si sa mai: avrebbe potuto anche vincere un qualche festival, oppure andare a fare l’animatrice in qualche club, con tutta la disoccupazione che c’era. Anna era arrogante e sapeva sempre come rispondere: Fu forse questo ad
attrarre in maniera irresistibile Roberto, incapace di tenere lo sguardo ficcato dentro agli occhi dell’interlocutore. Ma questo carattere che era anche il fuoco della passione dei due, corrispondeva pure alle zone d’ombra di Roberto, che non sapeva starle dietro, che non riusciva a fronteggiarla, che subiva il fascino e contemporaneamente la tradiva con la forza di un’invidia esecrabile, e inestinguibile. Metà strada fra ammirazione, passione e invidia. Ecco cosa provava Roberto per Anna e andava come a consolarsi delle bruciature amorose ]ella figlia con la madre che non vedeva l’ora di parlare finalmente con qualcuno di lei, figlia arrogante, che le aveva fatto passare anni di infinita amarezza a causa del suo comportamento improntato a disubbidienza e oltracotanza.
Così che prima dell’arrivo di Anna, sul palcoscenico di “interno-inferno di famiglia di fine millennio”, troviamo questi due, quasi genero e quasi suocera, come madre e figlio a complottare a parlare male del comune amore, con una gioia sadica, intrisa di vittimismo e autocompassione su cui ci bevevano intere tazze di té, rosso bosco, infusi di menta e timo, neanche fossimo in una saga medievale cui mancava il fumo delle alchimie. Ma l’alchimia stava proprio qui, in questo sugo familiare fatto di mafiosa allusività di complice piacere in una trama, in un complotto, di cui essi stessi non potevano conoscere né la patologicità e neppure il fine sadismo, tanto piaceva ad entrambi intingere le vesti nella pattumiera delle allusioni e delle collusioni. intrecciate, delle occhiate di sbieco, delle congiure della penombra, anticamera di sottili tresche innescate contro i torti subiti. Roberto con Rita, zoppa, ma non cieca acquistava padronanza di se, quasi vigore nel suo livore, insomma un personaggio degno di Dostojewskj, novello Raskolnikov nell’antro della vecchia a cui voleva rubare qualcosa (in questo caso la figlia!). Rita dal canto suo si sentiva amata e capita, non solo, ma sentiva che quel ragazzo così timido e poco audace era conforme al tipo di uomo che avrebbe voluto avere per se, suo marito era grossolano, anch’egli di poche parole, ineleganti silenzi. Sentiva che quel Roberto con quel suo astio contro sua figlia rappresentava il massimo dei suoi desideri. Era sensibile, umano, capace di sentimento e ascolto, avvertiva in lui qualcosa che la vita non le aveva mai regalato. Una sensazione di totale dedizione, di accorato incoraggiamento, quasi di vera valorizzazione di tutti i sacrifici che si era sobbarcata in tutti quegli anni. Non le sembrava vero che quel ragazzo di soli 22 anni potesse essere così adulto e così generoso. Le bastava trovarlo a casa, nei pomeriggi di tenebra e il suo cuore si illuminava, così anche il volto che divenne bellissimo. Un giorno successe quello che doveva succedere fra un maschio e una femmina e per poco Rita non morì di piacere. Poi le si avvampavano le gote metà di gioia e met àdi senso di colpa nei confronti della figlia. A Roberto piacque il piacere che riusciva a dare. Entrambi ci tenevano a questa relazione fatta di piacere nel dolore istintivo della trasgressione e della spasmodicità. Ci tenevano così tanto da infittire i momenti di tenerezza e degli amplessi fatti di nascosto, in cui il piacere era di rubare qualcosa a tutti con cene ufficiali, in cui la sensazione diventava più forte, perché fatta di vendetta e di irrisione totale nei confronti delle regole e dei tabù e delle normali relazioni sociali. In quello si sentivano unici. Percepivano che il loro eroismo era legato da una complicità fatta di revanchismo sociale oltre che culturale, andavano contro tutti e tutto e nulla avevano da perdere. Questo piacere imbarazzante, di cui non riuscivano a tenere conto, se non sentendo questa voglia diventare quasi mania, li rendeva perfetti, sia come attori protagonisti che come occulti sceneggiatori di una trama di cui avrebbero presto firmato (filmato?) le ultime sequenze. Rita un giorno sviene e viene portata subito da Roberto all’ospedale e qui le dicono che è al terzo mese di gravidanza. Non aveva detto niente a nessuno perché aveva paura che l’incantesimo finisse. Roberto scopre di essere padre di una creatura orrenda fatta per far nascere gelosia e pazzia alla sua Anna. Inorridisce finalmente, prende una pistola e spara a Rita che in un guizzo di consapevolezza capisce di aver carpito Roberto e di aver ucciso il primo grande amore della figlia. Il figlio di questo amore doveva nascere per far morire quel legame. Rita ferita abortisce e dopo questo fatto si dilegua. Viene ritrovata ebete e senza quasi memoria alla stazione dei carabinieri di Cremona, con se aveva solo una valigia. Balbettava come una bambina anziana: teneva in mano un paio di babbucce fatte a mano per neonato. Voleva partire, voleva varcare il confine ma il confine lo aveva già varcato. Roberto, finito in carcere per tentato omicidio, racconta frasi sconnesse in cui dice che vuole sua madre e rivuole suo figlio. Per lui il fantasma della libertà è più vicino che ad altri.
Oggi Magazine, 6 febbraio 2000