Quando gliel’aveva detto, Rita iniziò a non dormire più. Suo figlio era un omosessuale, Marmi. Un aspetto maiuscolo, un erede perfetto. Come dirlo al padre? Come affrontare la gente? Come dirlo alla nonna, religiosa e pudica? Che fare: era possibile curarlo ? Era una malattia, una tara, una predisposizione, una provocazione?
Rita venne da me in punta di piedi. Già dalla telefonata mi disse che non era per lei, ma per un suo “congiunto”. “Congiunto” è un termine che si trova spesso nei necrologi e che appartiene dunque più alla sfera della morte che della vita Quando Rita mi racconta della storia familiare, il marito sempre fuori per lavoro, il sabato pieno di tutto il vuoto di una stanchezza prodotta durante una settimana di lavoro. La domenica passata a stirare camicie e mutande per preparare un ‘altra partenza. Luca il figlio a guardare la televisione col padre. Poche parole. Molte aspettative deluse. Troppi addii, troppi distacchi, troppo silenzio. Luca sempre presente in casa per non far sentire la mamma troppo sola. Rita infatti descrive la sua vita più come un sodalizio fatto con Luca che non un patto siglato con Guglielmo, il marito che, essendo commissario di bordo nelle navi, non c’era mai e quando c’era era meglio che non ci fosse, perché deludeva sistematicamente tutte le aspettative di calore, effusione ed interesse.
E dopo tanti anni di vita domestica in cui succedeva quasi niente, arriva la stangata. Il figlio le dice non senza qualche difficoltà: “Sono sicuro; mi piacciono più i ragazzi che le ragazze, ma tu mi vuoi bene lo stesso?”. Rassicuro Rita che l’omosessualità, soprattutto a quest’età, è un’occasione man¬cata all’appuntamento con la maturità. Come mai questo ragazzo non vuol crescere? O non sa con chi bene indentificarsi? Poi parlo con Luca. Mi dice che non ha voglia di vivere e di studiare, che sta sempre con sua madre “per farle compagnia”. Che l’accompagna dal medico, a fare la spesa, in chiesa quando c’è Messa. Insomma le fa da semi/marito. Quando poi arriva suo padre, invece di esserci più gioia c’è maggiore tensione. Lui, Guglielmo, il padre, pare che quando arrivi invece di portare il mondo in casa con l’entusiasmo di chi gira il mondo, frughi in ogni angolo della casa per trovarvi qualcosa che non va. E poi inizia il supplizio dell’interrogatorio. «Hai fatto questo? Sei andato a prendere quest’altro?».
Cosi che Luca si trova a fare da alleato stabile alla madre contro un padre ritenuto violentatore di un’intimità domestica e di un equilibrio fra i due siglato da poche frasi, rituali ormai codificati nel tempo, ma che funzionano. Forse Guglielmo sentendo tanta morbida alleanza, fa della sua angoscia uno strumento di perversione come l’inquisizione; tenta di entrare nell’abbraccio morboso dei suoi, di madre e figlio, con la guerra e i metodi nazisti. Col risultato di raddoppiare l’alleanza e la perfetta simmetria di figlio e madre, che non vedono l’ora di essere lasciati in pace. Che se ne ritorni fuori con le sue navi. Pazienza se Luca non riesce a diventare uomo… se uomo significa essere violento, inibito, sempre arrabbiato.
Rita a questo punto però chiede di cambiare tattica, si dice disposta a divorziare… dal figlio purché cambi rotta… Ma chi deve cambiare per primo? Siamo ancora in tempo per restituire fiducia e affidabilità alla figura paterna? Chiamò Guglielmo: gli scopro i giochi inconsci. Lo metto a conoscenza delle inconsapevoli alleanze perverse della sua famiglia che rendono difficile, per non dire impossibile, il percorso d’identità psicosessuale di Luca.
Prendo in mano il problema dì questa famiglia, come il comandante di una nave: questa volta la rotta la decido io! E come in una S.p.a. chiedo a Rita e a Guglielmo di mettersi “in proprio” di lavorare assieme, di avere progetti di vita e di lavoro comuni, di lasciar uscire dall’alveo materno Luca. Che prenda le distanze, si guardi attorno e viva suo padre non più come un estraneo tormentatore, ma un compagno felice vicino alla mamma. Chissà mai che tolto dal suo compito di angelo tutelare della madre non gli riesca di concepire la vita per conto suo. Aver contribuito alla ricostruzione psicosessuale dei singoli membri di questa famiglia, ha dato la possibilità a Rita di ritrovare un compagno e a Luca di ritrovare un padre: il resto si vedrà. Talvolta l’omosessualità è copertura nevrotica di altri problemi ben più gravi. È come una maschera: importante toglierla. Il resto è teatro, talvolta farsa o tragedia. Importante contrastare scelte patologiche e non accettarle per amore di modernità.

Non tagliamo le radici Alessandra Lancellotti psicologo life coach psicoterapeutaAlpini in armi per la pace Alessandra Lancellotti psicologo life coach psicoterapeuta Prenota un appuntamento onlineDoctolib