Per Lucia il trapianto del midollo era l’ultima spiaggia. La grave aplasia midollare di cui soffriva non lasciava intravedere altre soluzioni. Così il 29 giugno 1987 era stata ricoverata all’ospedale San Martino di Genova. Di lì a sei mesi avrebbe subito l’intervento chirurgico. Ma quindici giorni prima, il 18 novembre 1987, fu dimessa perché guarita.
Questo vaso è stato comunicato dagli psicoterapeuti Alessandra Lancellotti e Roberto Perotti al recente congresso internazionale “Leukaemia 1988″ organizzato a Genova dalla Divisione di ematologia e di trapianto midollare del San Martino, in collaborazione con l’Istituto nazionale per la ricerca sul cancro.
Ma vediamo la storia. Pochi giorni dopo il ricovero la madre della ragazza telefonò ai dottori Lancellotti e Perotti, i due psicoterapeuti che seguivano la malata e la sua famiglia. Lucia, infatti, era affetta da formazioni fobico – ossessive. “In realtà”, dice il dottor Perotti, “il problema vero era rappresentato dai genitori. Soprattutto dalla madre che aveva con la figlia un rapporto simbiotico, legato all’ineluttabilità della malattia. La convincemmo a rinunciare a una funzione terapeutico – infermieristica che si era imposta a favore, invece, di atteggiamenti genitoriali. Presto sparirono dalla ragazza i sintomi fobico – ossessivi”. Nel frattempo, però, precipitò la grave forma di aplasia midollare; furono decisi il ricovero e il trapianto del midollo.
I due psicoterapeuti elaborarono una terapia in cinque punti chiave: colloqui con la paziente in ospedale, a distanza di un mese l’uno dall’altro; intervento sui genitori; intervento settimanale sulla madre nel mese precedente il già progettato trapianto; modifica degli atteggiamenti iperprotettivi dei personale paramedico.
“Alla prima visita che feci in ospedale”, dice Alessandra Lancellotti, “trovai Lucia per nulla spaventata dalla morte, ma con atteggiamenti infantili, annoiati e chiusi. Era abulica, non voleva altri degenti vicino a sé. La affrontai brutalmente dicendole di pettinarsi, di vestirsi in modo adeguato ai suoi 17 anni e di accettare la compagna di stanza che aveva rifiutato. Lei reagì male. Quello stesso giorno parlai con il personale paramedico suggerendo di scuoterla, di arrabbiarsi se non ubbidiva e così via”.
Alla terza visita era cambiato tutto: aveva una compagna di stanza, erano scomparsi i “lalleggiamenti” infantili e, soprattutto, faceva progetti per il futuro. Insomma, viveva. Anche se questa novità metteva in crisi la madre. “Mi colpi in lei”, prosegue la dottoressa Lancellotti, “l’aspettativa di morte che aveva verso la figlia. Sembrava che per lei fosse già un mito che si apprestava a rendere pubblico come una sorte sventurata. Suggerii ai genitori di essere più direttivi e non più atteggiati a cordoglio. La reazione materna fu di grande rabbia. Ma poco a poco prese anche lei a credere nella vita invece di aspettare la morte della figlia”.
Proprio a questo punto Lucia fu dimessa. “Alla trasformazione delle aspettative materne”, dice ancora la dottoressa Lancellotti, “corrispose il cambiamento di salute della ragazza”. Meravigliando tutti, Lucia non ebbe più bisogno del trapianto del midollo.”

Marco Gregoretti

L’Espresso, 15 gennaio 1989

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