La soddisfazione di essere autonoma. E l’ansia di lasciare il bambino in mano a estranei. L’orgoglio di sentirsi apprezzata anche fuori casa. E il magone di non trovarsi accanto al lettino quando lui si sveglia dopo il riposo pomeridiano. La gioia di una promozione inaspettata. E la paura di essere lontana nei momenti in cui il ragazzino, ormai adolescente, ha più bisogno di lei. Spesso la mamma che iavora paga a caro prezzo la sua voglia di affermazione. Sempre divisa, sempre combattuta. Un pezzetto di cuore che rimane a casa, anche quando è seduta dietro la scrivania. E quella relazione da completare che torna in mente proprio mentre accompagna il piccolo all’asilo… E, sotto sotto, il timore inconfessato che le sue aspirazioni professionali possano «rovinare» la vita dei figli. «Le donne che vogliono emergere senza rinunciare a metter su famiglia sono ancora oggi bersagliate da messaggi ambigui», dice Alessandra Lancellotti, psicologa e madre di due figli. «Apparentemente si vedono apprezzate e spronate ad andare avanti, livello inconscio sentono però di essere giudicate carenti come mamme e come compagne. Basta la fatidica frase della nonna “poverino, si è fatto male ora che c’era solo la baby sitter” o un “quando io tornavo da scuola mangiavo con mia madre”, buttato lì dal partner, per far scattare i sensi di colpa. E per farle sentire schiacciate fra due mondi, quello esterno che dice “brava, continua così” e quello interno, degli affetti più veri, che le accusa di far carriera “sulla pelle” dei propri cari». Un problema che si presenta anche alla donna che lavora solo per necessità. A volte l’aver bisogno di un secondo stipendio per far quadrare il bilancio familiare non le impedisce infatti di immaginarsi cattiva madre. E di vivere la sua lontananza da casa come un torto. In questo caso, però, i sensi di colpa si attenuano più facilmente perché il bisogno la assolve: lavorando potrà dare di più al suo bambino. La contraddizione comunque rimane. L’unica soluzione sembra allora tentare la strada dell’onnipotenza: mamma tradizionale che prepara le torte di notte, professionista affermata di giorno. Poche, però, riescono a reggere il ritmo: molte vengono travolte dalla tensione continua e diventano aggressive. La giornata comincia bene, se è la mamma a svegliarlo… «L’unica via di fuga è comprendere come stanno in realtà le cose», riprende Alessandra Lancellotti. «Spesso il smmento infelice di un marito nasce da semplice gelosia nei confronti della compagna. E le nonne, in genere, mal sopportano di veder realizzate aspirazioni extra familiari per loro inconcepibili. Se il quadro è chiaro, diventa più facile difendersi. O dare meno peso alle critiche, nascoste o palesi, per riconquistare maggiore serenità».
Senza contare che lavorare, e trarre soddisfazione dalla propria attività, in prospettiva aiuta anche i figli. Una volta adulti, infatti, non dovranno combattere con una mamma insoddisfatta e depressa perché il nido si è svuotato. «La buona madre? E’ la madre felice», conferma Silvia Vegetti Finzi, psicologa milanese, autrice del libro Il bambino della notte, Mondadori editore. «La casalinga insoddisfatta della sua scelta può essere una madre peggiore della manager impegnatissima che trova il tempo per mettere a letto il suo piccolo e fare colazione con lui, vivendo questi momenti di intimità come i più felici della giornata». […] Perché con i bambini non si può barare, ed è inopportuno il carattere assente dei padri. Le conseguenze? Alla lunga i figli di lei non lo rispetteranno, prenderanno campo e divideranno la coppia. Perché la madre sta quasi sempre dalla parte dei figli». Va aggiunto che ogni ragazzino ha in cuor suo la convinzione che i genitori prima o poi tornino insieme. Così le scene di gelosia nei confronti del nuovo partner sono frequenti. Ma non bisogna lasciarsi ricattare. Già chiedergli: “Posso sposare Enrico?” è un errore, un capovolgimento generazionale: sottointende che lui ha quarantanni e la madre venti. I ragazzini, invece, hanno bisogno di certezze. Aggiunge Francois Dolto: «II nuovo uomo della mamma si deve chiamare “fidanzato”, non “amico”, perché per loro la parola amicizia eslcude qualsiasi attrazione sessuale». Se invece i figli di primo letto fossero quelli di lui? Gli esperti sono d’accordo nel sostenere che i regali servono solo a colmare i rimorsi del padre assente. Per esempio, meglio una partita di pallone insieme che l’ultimo modello di montain bike. Dall’altra parte, la nuova moglie di papa dovrà fare attenzione: non troppi vizi o regali. Farsi accettare è un’arte. E la regola prima è non contrapporsi alla vera madre. Lei deciderà le linee educative; che andrebbero seguite anche quando il piccolo sta con papa per il week-end. In ogni caso non sarebbe male parlarne direttamente con la madre. Ma il danno più grave è quando la neo moglie vede nel bambino di lui un rivale che le «ruba» le attenzioni del partner. «Ci vuole senso di responsabilità e capacità di mediazione», mette in guardia Lancellotti. «La nuova compagna dovrà capire i tentativi del papa per non perdere l’affetto del bambino. Se la situazione diventa insostenibile c’è forse un solo modo per uscirne: restare incinta. Con un bimbo nato dalla nuova coppia tutto il quadro si ricompone». E poi, quando i figli crescono? Come fare perché si sentano tutti fratelli? E come evitare di essere «matrigna»? Rosanna Schiaffino, seconda moglie di Giorgio Falck, ha un consiglio molto semplice: «Non fare niente. Ci sarà un momento in cui avranno bisogno e verranno da te. Allora vanno accolti a braccia aperte».

Quattro regole da rispettare

Correggere i vecchi difetti. Accettare le differenze. Giudicare se stessi e i! partner con obiettività. E, soprattutto, sapersi divertire insieme: secondo lo psicologo il segreto del successo della nuova unione è tutto qui

Responsabile del centro psicologia dinamica e relazionale «San Rocco» di Genova, terapista della famiglia e consulente in molte cause di separazione. Ma Alessandra Lancellotti parla anche per esperienza diretta: tre mesi fa si è sposata per la seconda volta. A lei abbiamo chiesto di guidarci per capire i meccanismi psicologici del secondo matrimonio.
– Con che stato d’animo oggi una donna affronta le nuove nozze?
«Con la giusta razionalità. Meno ansia e la convinzione che certi errori non li ripeterà. A 20 anni si vorrebbe cambiare il mondo, e spesso anche il partner. Poi si impara che al massimo possiamo cambiare noi stesse. Siamo state troppo noiose? Pignole? Egocentriche? Cerchiamo di correggerci. Comunque la differenza sostanziale è che con il primo matrimonio si dice: “Ti amerò per l’eternità”, con il secondo si è più realistici e si pensa “ti amerò davanti all’eternità”».
– Ma è proprio vero che la maturità aiuta a non ripetere passi falsi?
«Sì, se la donna non si limita a prendere atto del disaccordo precedente, ma ne comprende i motivi profondi. Il primo matrimonio è come la primavera: da una sensazione di euforia e turbamento; il secondo, in genere, assomiglia all’estate e corrisponde alla consapevolezza. Se ci si sposa molto giovani, si è ancora troppo figlie per diventare madri. E la coppia subisce le intromissioni di genitori e suoceri. Le differenze tra la famiglia di lui e la nostra non sembrano arricchirci, ma spaventarci. Con il secondo matrimonio invece si è più preparati a questo mescolarsi tra due “razze”, a far diventare un estraneo “sangue del tuo sangue”. Non si pensa: “Oddio chi ho sposato”, ma, per esempio: “Che bello, siamo così diversi, ci completeremo”». […]

Anna, 30 ottobre 1991

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