Un filo nero, lo sappiamo dalla psicoanalisi, collega spesso le malattie del corpo a quelle della mente, per giungere fino all’anima. Quel medesimo filo nero forse conduce agli hikokomori, i giovani giapponesi (ma non solo) che vivono esclusivamente di internet e di social network; ai sei milioni di europei affetti da depressione (per la maggior parte donne); ai protagonisti di rapporti familiari distruttivi; ai maniaci ossessivi delle crisi finanziarie; ai perversi dell’erotismo virtuale; agli emotivamente sterili; ai propagatori compulsivi di profezie infauste; fino ai romanzieri, commediografi e cineasti devoti al manierismo conformista del negativo, della disillusione, della perfomance senza finalità né speranza. Gli studiosi di questo limbo mondano si riconoscono nella Pnei, cioè la psico-neuro-immunologia, disciplina che mette in relazione il sistema psichico con quello immunologico e nervoso. Le applicazioni della Pnei sono svariate, eppure sembrano rispondere a una sola, elementare constatazione. Da un lato, il filo nero è tenace, ha basi organiche dovute alla nostra vulnerabilità, al nostro innato istinto gregario. Ma le stesse forze, spiega la psicoanalista Alessandra Lancellotti nel suo Cambiamente (un saggio pubblicato da Itaca, pagine 198, euro 16), possono essere deviate, sino a spezzare quel filo.
Si parte dalla certezza che un ambiente moralmente sterile, e quindi debilitante, inibisce il rilascio delle dopamine, gli ormoni della felicità. Non tutto, però, si riduce a una pura questione di chimica. Ciò che conta davvero è la disposizione individuale a darsi, comunicare passione, sentirsi utili a realizzare qualcosa che ci trascende. Il vero nemico da sconfiggere, una volta adottata questa visione del mondo, è il blocco mentale, tipicamente contemporaneo, che uccide la speranza in un cambiamento evolutivo alla portata delle singole persone, delle famiglie e anche delle aziende.
A un livello più profondo, è un rifiuto della natura, sino a mettere in discussione il nostro essere maschi e femmine, con ruoli differenti, quasi esistesse un nirvana da raggiungere attraverso
l’ermafroditismo psichico, l’individualismo assoluto e sovrano persino in tema di genere, vita e morte. Per non parlare dello sballo, della ricerca di uno stordimento indotto da gioco o droghe, dell’abbandono della realtà per proiettarsi in universi fittizi, fatti di passioni spente, di contatti solo virtuali. È per questo, anche in assenza di limiti e fermezza a scuola e in famiglia, che certi adolescenti finiscono col mutilarsi: il loro vero scopo è sentirsi vivi, avendo tutto e niente. Oppure cedono all’alcol, o sfidano la morte in rituali estremi, o stuprano e feriscono per provare la pura emozione legata alla trasgressione. Gli esperti catalogano tutto ciò sotto forma di psicosi, nevrosi, psico-somatizzazioni, ossessioni. Rapporti tossici che, col tempo, possono sfociare in patologie mortali. Eppure tutto è più chiaro se si affrontano situazioni concrete, come quelle che Alessandra Lancellotti descrive, attingendole all’esperienza quotidiana di psicoterapeuta. La sua conclusione è che il cambiamento di anima e mente (da qui il titolo del libro) porta con sé un riconoscimento: le maschere depressive, le crisi di panico, l’anoressia, la dipendenza da farmaci celano la
nostalgia di un significato superiore delle cose. Rendersene conto, e recuperarlo, per noi, significa ritrovare la via di casa.

Dario Fertilio

Tratto da L’Osservatore Romano, il Settimanale, giovedì 16 novembre 2017

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